Ma serbo e croato sono la stessa lingua?


Ma serbo e croato sono la stessa lingua?”  Da diversi anni ormai mi viene posta questa domanda, non solo da amici e conoscenti giustamente confusi, ma anche da diverse agenzie di traduzione e interpretariato (il ché è tutto un dire). Se fate attenzione noterete la mia faccia sconsolata perché rispondere a questa domanda è nell’ordine: impossibile, pericoloso per la propria incolumità fisica e richiede più tempo che costruire l’arca di Noé.

Ho deciso quindi di approfittare della “tregua” estiva per cercare di dare una risposta che possa soddisfare anche chi come me, non è stato così folle da darsi alla croatistica.

Premessa generale

Avviso però che come in tutte le cose non esiste una verità assoluta, né una risposta giusta o sbagliata, e che NESSUNO è ancora concorde sulla risposta alla domanda, né i massimi letterati, né tantomento la gente comune. Per capirci, e i corregionali mi intenderanno, è un po come decidere chi ha inventato i tortellini, se gli Emiliani o i Romagnoli, solo con una guerra in mezzo da circa un milione di morti. Io stessa sarò sicuramente criticata/attaccata/invitata a bere rakija per aver scritto questo post, abbiate pietà di me e perdonate le semplificazioni estreme.

Per alcuni serbo, croato, bosniaco e montenegrino sono varianti regionali della stessa lingua (discorso diverso è quello dello sloveno, che si differenzia in modo più sostanziale), per altri lingue diverse. Chi ha ragione e chi ha torto? Nessuno ed entrambi.

Per spiegare perché bisogna distinguere l’aspetto puramente linguistico da quello storico-politico.

Fattori storici

Il serbo-croato, che ufficialmente non esiste più, di questo statene certi, si iniziò ad affermare negli anni 30-40 del Novecento come compromesso di un continuum linguistico delle lingue parlate in quella regione. Il serbo fu standardizzato da Vuk Karadžić, il croato, tra gli altri, da Ljudevit Gaj.

Con l’Accordo di Vienna delle metà el XIX secolo si procedette però a una sorta di “fusione” delle due, vuoi anche perché in quegli anni fu creato il primo Regno di Yugoslavia  (1929-1941). Ai Bosniaci e ai Montenegrini nessuno chiese nulla, i primi venivano visti come un mix amorfo e i secondi come un’appendice della Serbia. Con la creazione della Yugoslavia titina la centralizzazione e la standardizzazione linguistica proseguirono e portarono alla creazione del “serbo-croato o croato-serbo” come veniva chiamato, ovvero un’unica lingua con due varianti aventi pari diritti (Accordo di Novi Sad). Ognuno nella vita di tutti i giorni continuava a parlare la sua variante, con una predominanza di quella serba attraverso la scolarizzazione e la pubblica amministrazione.

Non serve dire che se già non correva buon sangue tra i due popoli, con l’auto-dichiarazione di indipendenza croata e l’invasione della Croazia da parte della Serbia più la guerra che ne è seguita, l’insofferenza o la diffidenza generalizzata verso l’altro sfociarono nell’odio, e anche la questione linguistica assunse, e ha tutt’ora, un alto valore simbolico e nazionale.

Da qui il fatto che è difficile rispondere a questa domanda. Se dico che è la stessa lingua, politici e nazionalisti croati o serbi mi vengono a cercare a casa, se dico che sono due lingue diverse dimentico le voci di tanta gente comune che continua a chiamarla naški, la nostra (lingua) nonché svariati anni di studi di linguistica.

Possiamo dire che se prima il serbo-croato, come tentativo di unire con un costrutto politico-ideologico due lingue vicinissime seppur in parte diverse, era grossomodo tollerato e in minima parte riuscito, oggi è perfettamente comprensibile la suddivisione in lingue a sé stanti come espressione di sovranità nazionali distinte e di autonomie finalmente acquisite. Da questo punto di vista, dunque, esse sono e debbono essere considerate due lingue diverse.

Fattori linguistici

Da un punto di vista strettamente linguistico però le cose sono più complicate, perché le due lingue (anzi quattro in questo caso) sono talmente simili che il confine tra variante e lingua è molto, molto sottile. Chiaramente, l’origine nazionale o topografica è immediatamente identificabile, ma la comprensione, sia orale che scritta, non ne viene inficiata. Se vado a Belgrado e ordino una birra, che nel croato parlato concepiamo come sostantivo femminile (piva) anziché utilizzare pivo (neutro), come vorrebbe peraltro lo standard anche in Croazia, verrò immediatamente etichettata come Croata, ma la birra gelata sul tavolo mi arriva comunque, magari storce il naso il cameriere. Ma non sempre.

Le differenze non si fermano qui o sarebbe troppo facile. E di facile, da queste parti, non c’è proprio nulla. Tanto per cominciare, il serbo usa l’alfabeto cirillico (ma anche quello latino, sempre più comune ai tempi di internet) il croato solo l’alfabeto latino. Entrambe si basano sul dialetto stocavo (dal pronome interrogativo cosa, što?), sebbene in Croazia il dialetto dominante nella capitale sia il caicavo (kaj?) e sulla costa il ciacavo (ča?). Il serbo è però una lingua cosiddetta ecava, il croato ijecava, il ché significa che nella formazione di alcune parole quali, ad esempio, “neve” o “tempo” il serbo predilige la forma sneg, vreme, il croato quella snijeg, vrijeme. Niente di astronomico, se si conosce il meccanismo si capisce facilmente di che parola si tratta. Anche perché anche in alcune aree della Croazia e della Bosnia si utilizza il sotto-tipo ecavo. Un bel rompicapo cinese, anzi balcanico.

La struttura morfologica (tempi verbali, casi, generi) è grossomodo simile salvo alcune eccezioni che si esplicano ad esempio nei generi, come minuta-minut (femminile in croato e maschile in serbo) e in alcune strutture grammaticali. Tra queste troviamo le costruzioni con i verbi servili, del tipo, “devo lavorare” in cui il croato predilige l’infinito moram raditi e il serbo una costruzione con la particella “moram da radim (“devo che lavoro”) o la predilezione di tempi verbali diversi nel passato. I serbi sono un po il nostro sud che usa il passato remoto (aorist) che i croati all’orale hanno dimenticato.

Le differenze lessicali sono più consistenti, soprattutto quelle relative a termini della vita quotidiana, mesi, mezzi di trasporto (croato: vlak/serbo: voz —> treno), strumenti (croato: žlica/serbo: kašika —> cucchiaio), cibo (croato: kruh/serbo: hleb —> pane), abiti e simili (croato: hlače/serbo: pantalone —> pantaloni; croato: ručnik/serbo: peškir —> asciugamano). Questo perché storicamente il serbo, e il bosniaco, hanno fatto propri durante la dominazione Ottomana vocaboli turchi, mentre il croato è stato più influenzato dalla presenza italiana e austro-ungarica.

Con l’indipendenza, vent’anni fa circa, il croato ha poi proceduto alla nazionalizzazione del vocabolario, abbandonando i termini considerati serbi, o di matrice iugoslava, per vocaboli arcaici (Travanj per aprile anziché April) o preferendo nuove creazioni (nogomet al posto di fudbal, per calcio). Alcune di queste sono totalmente giustificabili ed entrate ormai nell’uso corrente della lingua, anche per la volontà di rimuovere una memoria storica dolorosa legata alla guerra (come i termini oficir o armija, rispettivamente per ufficiale ed esercito, che sono stati sostituiti da časnik e vojska ) altre ancora sono invece costruzioni fittizie, usate solo dalla stampa o in “situazioni ufficiali” e totalmente innaturali nell’uso comune. Un esempio su tutti è quello dell’aeroporto (aereodrom, in quasi tutte le lingue slave), ora in croato zračna luka (aereoporto dell’aria ndr.). Se qualche anno fa chiedevate a un signore di mezza età indicazioni per la zračna luka vi faceva una faccia strana, del tipo “che stai a di’?!”, ma vi indicava volenterosamente la direzione se invece utilizzavate il vecchio termine aerodrom. Ora forse i nipoti glielo hanno insegnato, ma continua a dire aeredrom.

Conclusioni

Ma quanto devono essere uguali due lingue per essere considerate le stesse? E quanto sono uguali quelle di cui stiamo parlando? I linguisti sostengono che fino all’85% di corrispondenza lessicale si può parlare della stessa lingua. Per il serbo e il croato nessuno lo ha ancora calcolato, anche perché la questione è metodologicamente, e politicamente, complessa. L’unico studio in questo senso è quello di John Frederick Bailyn, della Stony Brook University, che nel 2008 ha chiesto a 16 parlanti di lingua croata (tra i 20-38 anni) di tradurre dei brevi testi dal croato al serbo per poi evidenziarne le differenze fonologiche, morfologiche, sintattiche e lessicali, giungendo alla conclusione che le variazioni oscillano tra il 2 e il 10 %, a seconda delle categorie. Personalmente, e sottolineo, personalmente, da un punto di vista linguistico le due lingue possono ancora per il momento essere, con una buona dose di “se” e di “ma”, considerate come varianti della stessa lingua, forse perché negli ultimi 100 anni si è cercato comunque di renderle tali. Ne è la riprova il figlio di una mia ex padrona di casa in Croazia che guarda ogni pomeriggio i cartoni animati serbi e alla domanda: “Che lingua parlano?” rispondeva sempre: “La nostra, solo un pò strano”.

Se ciò non bastasse, ulteriore prova viene dalle istituzioni europee dove basta superare il test di accreditamento come interprete con il croato come lingua di lavoro, per poi auto-certificare, senza alcun esame aggiuntivo, anche la conoscenza di serbo e bosniaco per poterci lavorare.

Le cose cambieranno forse in futuro, ora che serbo e croato sono rispettivamente due lingue ufficiali di due paesi diversi e separati e a mano a mano che le nuove generazioni faranno propri i vocaboli di nuovo conio, soprattutto del croato, e si perderanno le parole cosiddette “comuni”, o almeno comprese da tutti.

Lavorativamente parlando il problema è ancora più presente che al bar. Questo perché ogni volta occorre capire, soprattutto negli interpretariati, chi sia il fruitore finale per decidere cosa è più saggio fare. Non è affatto saggio ascoltare le agenzie (“Dai vieni te, di serbo non c’è nessuno, tanto è uguale”/”Ah, perché non è uguale?”), perché a volte si rischiano guai. Un’équipe di parrucchieri o ingegneri serbi, l’associazione di beneficenza o la ONG di solito non hanno problemi ad avere un’interprete che parla croato (o viceversa), mentre il discorso è diverso per soggetti più politicizzati. A volte si attuano strategie di “rispetto”, o di minimizzazione del potenziale conflitto, che per esperienza personale trovano sempre la massima comprensione nell’intelligenza delle persone. Mi viene in mente il caso di una personalità croata musulmana, la cui famiglia è stata uccisa dai Serbi a Srbrenica. In quel caso, la collega (che parla serbo) ha lasciato fare a me tutte le domande in croato. Ci sembrava rispettoso fargli sentire un accento più famigliare, o comunque che non riaprisse vecchie ferite, anche se non ce lo ha chiesto nessuno.

Spero che avrete capito che rispondere a questa domanda è spesso un problema politico, perché la storia che accomuna queste due lingue e popoli è complessa e, purtroppo, sanguinosa. La querelle continua proprio perché le ferite sono ancora aperte e perché le ali più nazionaliste fanno leva anche sulla diversità linguistica per rafforzare quel discorso del “noi” contro di “voi”. In tal senso, seppure piuttosto vago e non esente da critiche, confortante è il passo avanti fatto da un gruppo di lavoro di linguisti e letterati di Bosnia, Croazia, Serbia e Montenegro, e che il 30 marzo 2017, nell’ambito del progetto “Lingua e nazionalismo” ha approvato a Sarajevo la “Dichiarazione sulla lingua comune”, che proclama le quattro lingue come varianti di una stessa lingua policentrica.

Io, nel frattempo, spero arrivi presto il giorno in cui non dovrò più sottoporre tutti voi a questo pippone tutte le volte che molto ingenuamente mi ponete la domanda “ma serbo e croato sono la stessa lingua?”. Nel frattempo ljudi, uživajte!

Bibliografia:

Bailyn, J.F To what degree are Croatian and Serbian the same language? Evidence from a Translation Study. New York. [www.linguistics.stonybrook.edu]

Matica hrvatska i Matica srpska (1960) Pravopis hrvatskosrpskoga književnog jezika, Zagreb/Novi Sad: pp. 6–10.

Deklaracija o zajedničkom jeziku (2017) Sarajevo [www.jezicinacionalismi.com]

Young, M. (2011) Language and Nation: An Analysis of Croatian Linguistic Nationalism, San Diego, San Diego State University Press.

Brozović, D. (2008) Povijest hrvatskoga književnog i standardnoga jezika, Zagreb, p. 10.

Ronelle A. (2006) Bosnian, Croatian, Serbian: A grammar with sociolinguistic commentary, Madison, WI: University of Wisconsin Press.